Licenziamento per superamento del Periodo di Comporto

Superato il termine del periodo di comporto stabilito dalla contrattazione collettiva, il beneficio della conservazione del posto di lavoro viene meno e il lavoratore assente diventa “licenziabile”, in quanto il perdurare della mancata esecuzione della prestazione lavorativa espone questo ad un grave inadempimento contrattuale che potrebbe portare al recesso del datore di lavoro (art. 2110, c. 2, c.c.).

In merito alla specialità del recesso in esame, la dottrina e la giurisprudenza hanno espresso diverse tesi e orientamenti circa il rapporto di esso con l’ordinario sistema normativo disciplinante il recesso del datore di lavoro.

L’orientamento maggioritario giurisprudenziale e dottrinale statuisce come il solo superamento del periodo del comporto costituisca fonte di legittimazione per procedere al licenziamento del lavoratore, senza la necessità in capo al datore di lavoro di provare l’esistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo. La valutazione dell’esistenza di tale condizione risulterebbe del tutto irragionevole, oltre che snaturare la natura del periodo di comporto stesso, in cui il divieto di recesso è finalizzato alla tutela contemporanea degli interessi del datore di lavoro (esecuzione della prestazione lavorativa) e del lavoratore (conservazione del posto di lavoro) (Cass. 24 giugno 2005, n. 13624).

Il licenziamento derivante dal perdurare dell’assenza del lavoratore dal luogo di lavoro dopo la fine del periodo di comporto costituisce una forma autonoma e speciale di recesso del datore di lavoro, nel quale quest’ultimo è tenuto a provare il superamento del periodo di comporto (art. 7D.L. n. 76/2013Cass. n. 1634/2018).

Illegittimità del licenziamento per superamento del periodo di comporto

Il licenziamento per superamento del periodo di comporto può assumere profili di illegittimità qualora, ad esempio, venga commesso un errore di calcolo di tale periodo. Provata l’illegittimità del recesso datoriale, è da stabilire secondo i consueti criteri quale tutela spetti al lavoratore: tutela reale, tutela obbligatoria o tutele crescenti, per la quale è prevista la sola tutela risarcitoria pari a un importo uguale a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità, non imponibile ai fini previdenziali e assistenziali (art. 3, c. 1, D.Lgs. n. 23/2015)

In caso di calcolo errato del periodo di comporto, che valore ha il licenziamento comminato al lavoratore?

Ove il giudice di merito accerti il mancato superamento del periodo di comporto, ex art. 2110, comma 2, del codice civile, il licenziamento sarà considerato nullo e come tale il giudice disporrà la reintegra nel posto di lavoro, a prescindere dal numero dei dipendenti in forza presso l’azienda.

Periodo di comporto e infortunio

Tranne quanto diversamente previsto dalla contrattazione collettiva, nel periodo di comporto vanno sommate tutte le malattie e gli infortuni non causati da una responsabilità del datore di lavoro.

Ciò è stato ribadito anche dalla Corte di Cassazione, la quale, con l’ordinanza n. 7247 del 4 marzo 2022, ha chiarito che per detrarre l’assenza per malattia dal periodo di comporto non è sufficiente che la stessa abbia un’origine professionale ma è necessario che in relazione ad essa sussista una responsabilità del datore di lavoro.

Sospensione cautelare e comporto per malattia

Il lavoratore che pone in essere un illecito disciplinare così grave da ledere in maniera irreparabile il rapporto di fiducia con il datore di lavoro può essere sottoposto a sospensione cautelare fino a quando il procedimento, di cui all’art. 7L. n. 300/1970, non si sia concluso con l’irrogazione della sanzione disciplinare. Qualora il lavoratore, durante il “periodo di attesa” della definizione del procedimento, al fine di non vedersi irrogata la sanzione espulsiva del licenziamento decida di mettersi in malattia, tale sospensione del rapporto di lavoro non incide sull’eventuale recesso del datore di lavoro per giusta causa, poiché gli effetti della sospensione cautelare fanno retroagire l’efficacia del licenziamento alla data della sospensione.

 

 

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